Elenco dei film di Griffith

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Titolo Watchmen
Titolo originale Watchmen
Anno 2009
Regista Zack Snyder
Durata 162
Paese GRAN BRETAGNA, USA
Genere fantascienza, fantasy, thriller
Trama 1985. Gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica sono giunti all'apice della Guerra Fredda e si paventa un imminente attacco nucleare. Le speranze dell'umanità sono legate al Dottor Manhattan, un essere composto di pura energia e splendido modello di perfezione fisica, in grado di presagire il futuro e di alterare la materia fino a livelli subatomici con un solo gesto. Tuttavia, il suo crescente distacco dall'umanità lo ha lasciato indifferente nei confronti del mondo e della gente intorno a lui, anche della sua compagna Laurie, ex componente di un gruppo di paladini della giustizia noti come 'Watchmen', esseri dotati di una forza superiore che sono però ormai caduti in disgrazia e messi fuori legge dal governo. Nel frattempo, un altro ex guardiano, Rorschach - unico del gruppo a non aver rispettato la messa al bando - riunisce i suoi vecchi compagni di battaglia per sventare un complotto messo in atto da un misterioso individuo proprio a danno degli stessi 'Watchmen'.Critica "Trama essenziale, la forza sono l'ambientazione e la Storia, e Zack Snyder aveva il gravosissimo compito di restituirlo nella sua forza. Dopo il controverso '300', un esame di laurea. Passato a pieni voti. Il suo stile eccessivo ed eccentrico, l'ossessione per lo slow motion, i corpi e i movimenti accarezzati morbosamente con la macchina da presa (scene di lotta e Malin Akerman ringraziano), la preferenza per cast non stellari ma più operai, si adattano senza snaturarsi a questo avvincente e stratificato racconto fatto di molteplici simboli e riferimenti culturali e politici. E che si tratti di una pietra miliare del cinefumetto ce ne accorgiamo subito: le note di 'The Times They are a changin'' di Bob Dylan (colonna sonora da brividi) accompagnano i sei minuti iniziali da urlo. E alla fine avrete voglia di leggervi (o rispolverare) il fumetto." (Boris Sollazzo, 'Liberazione', 6 marzo 2009)"L'unico fumetto tra i meglio romanzi del secolo secondo 'Time', è un universo nero stipato di idealismo e anarchia, sferragliante 'Sound of Silence', Visione e Forza Visiva. Come sempre, babbo Alan Moore tace e (non) acconsente, ma l'illustratore David Gibbson ha collaborato. Bravi attori non famosi e il regista di '300' per 163 minuti densi e faticosi. Ma ispirati. Adulti. Overture e finale memorabili. Non è il cartoonmanierismo di "Sin City", è tanta/tanta roba, spesso 'Unforgettable'". (Alessio Guzzano, 'City', 6 marzo 2009)"Godiamo, un po' come in 'Rambo 2', patetico tentativo di psico-rimozione della Sconfitta, mentre lo squadrone della morte viene decimato via via da mostri ancor più orribili. Celada giorni fa ha espresso condivisibili dubbi sul film: in 140' lo spessore ironico e sarcastico del testo non arriva che di striscio, mentre l'humor è troppo involontario, non raddoppia né triplica il godimento. Ci volevano gli Yes men per farne uno stracult." (Roberto Silvestri, 'Il Manifesto', 6 marzo 2009)"Tratto dalla graphic novel di Alan Moore, il film è fedele sulla carta al fumetto (dov'è la satira politica di Moore?) ma infedele al cinema. Complicato anziché intrigante, troppo lungo, senza attori di nerbo, con troppe slow motion, truculento anziché scioccante, osceno (sesso patinato e pene di Dr Manhattan ridicolmente onnipresente) ma mai-sexy. Calco ottuso di un capolavoro che andava stravolto. Quelli bravi (Gilliam, Greengass) hanno passato la mano. Quello coatto di 300 (Snyder) ci si è buttato. I risultati si vedono." (Francesco Alò, 'Il Messaggero', 6 marzo 2009)"'Watchmen', tratto dal fumetto americano di Alan Moore e Dave Gibbons del 1986-'87, diretto dal regista di '300' e co-presidente della società di produzione 'Cruel and Unusual Films', brillante, dinamico, affascinante, racconta di un gruppo di ex supereroi mascherati, vigilanti che nel presente nascondono la propria identità ma non resistono al desiderio di essere utili agli altri e solidali tra loro." (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 6 marzo 2009)"Sarà anche per questo prolisso fumetto fantasy tratto dal solito presunto cult graphic novel Moore - Gibbons, smonti il super eroe e ribalti la storia, ma il film di Snyder ('300') non lo dimostra, visionario solo di buio ed effetti speciali. Dice bene 'Hollywood Reporter': lungo, confuso e senza anima." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 6 marzo 2009)
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Titolo Water Horse: la leggenda degli abissi, The
Titolo originale Water Horse: Legend Of The Deep, The
Anno 2007
Regista Jay Russell
Durata 110
Paese USA, GRAN BRETAGNA
Genere avventura, fantasy
Trama Scozia. Il piccolo Angus, trova un uovo misterioso che ben presto si schiude rivelando una creatura magica. Si tratta di un 'cavallo acquatico': un essere in parte tartaruga, in parte cavallo, in parte rana e con una coda da coccodrillo, che Angus nasconde nella vasca da bagno e a cui dà il nome Crusoe. Il suo nuovo amico è molto vivace, ha un enorme appetito e cresce in fretta, quindi col passare del tempo diventa quasi impossibile nasconderlo. Il bambino, insieme ai pochi familiari che ne conoscono l'esistenza, prende una risoluta decisione: la nuova casa di Crusoe sarà Loch Ness...Critica "Dunque non potranno non arrivare i cattivi e il film, con classe e umorismo scozzese, si giocherà anche la carta 'suspense' del film a retrogusto pacifista. I bimbi non si spaventano, ma qualche adulto sì, perché tutta questa fraternità automatica tra piccini e mostri è non poco inquietante." (Roberto Silvestri, 'Il Manifesto', 14 marzo 2008)"Il regista Jay Russell parla ai cuori dei minorenni, scherza nel primo tempo in cui il drago bisex, una leggenda d'origine celtica, è un incrocio tra ET e uno Schreck con rutto ed orecchioni: pur digitale, sfida un peluche e litiga come nei cartoon (...) Vecchissimo stile con le tenerezze pacifiste del caso: non vorremmo essere l'analista del piccino una volta cresciuto." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 14 marzo 2008)
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Titolo I padroni della notte
Titolo originale We Own The Night
Anno 2007
Regista James Gray
Durata 105
Paese USA
Genere drammatico, giallo
Trama Nella New York degli anni Ottanta, una famiglia che è sempre stata dalla parte della legge vede i due figli prendere strade diverse. Uno aprirà un locale notturno e si metterà al soldo della mafia russa, mentre l'altro cercherà di contrastarlo.Note - IN CONCORSO AL 60MO FESTIVAL DI CANNES (2007).Critica "Anche se più che l'intreccio, non imprevedibile, conta il gioco di risonanze affettive e familiari che Gray costruisce dentro a questo microcosmo di russo-americani più o meno integrati, conniventi o criminali. Con risonanze quasi bibliche nell'intrecciarsi di legami di sangue e di fedeltà dietro alla guerra sempre più feroce combattuta da Phoenix contro i suoi ex-amici. E con straordinarie impennate di stile che confermano il grande talento visivo di Gray, ma anche la natura intimamente manierista di un cinema che sembra sempre curiosamente in costume. Non perché evochi un passato relativamente recente, ma per il respiro mitico che si sforza di infondere nei suoi personaggi. Finendo però per accettare un finale posticcio poco intonato all'aria di tragedia che incombe sul resto del film." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 26 maggio 2007)"Quanto contano i miti personali dei critici? Moltissimo, anche se l'equilibrio professionale dovrebbe essere in grado di non conceder loro credito illimitato. Sostenendo, allora, che 'We Own the Night' ('La notte ci appartiene') è il miglior titolo finora passato in concorso, ci sembra di andare al di là della nostra ammirazione per i film dedicati alle odissee quotidiane del NYPD, il corpo di polizia che incarna uno dei simboli più carismatici dell'ecumene newyorkese. Del resto il trentottenne James Gray non è un autore sbrigativo o seriale: dopo il folgorante esordio con 'Little Odessa' arriva, infatti, oggi a firmare il terzo film in dodici anni per restare fedele al suo senso classico - potremmo dire anti-tarantiniano - della drammaturgia e dell'estetica cinematografiche. (...) Gray non ha alcuna intenzione di reinventare il genere, ma la linearità e persino la prevedibilità narrativa s'inquadrano in un teorema tanto elegante quanto risolutamente anti-televisivo: da una parte, la livida fotografia, le tenebrose scenografie, il montaggio ieratico e le musiche indiavolate rievocano le viscerali atmosfere del neo-noir alla Coppola, Friedkin o Scorsese; dall'altra, la densità delle recitazioni e la stilizzazione della violenza rendono il pathos eloquente e, soprattutto, credibile rispetto alla cruciale questione di una frattura insieme familiare, morale e sociale." (Valerio Caprara, 'Il Mattino, 26 maggio 2007)"Classe 1969, James Gray è uno dei rari registi americani ad aver tale considerazione per il cinemaanni Settanta da rifiutare gli effetti speciali, in favore di un rigore classico. Nel 1994 'Little Odessa' ciò gli è valso il leone d'argento alla Mostra di Venezia (e la coppa Volpi a Vanessa Redgrave); nel 2000 il suo 'The Yards' è stato presentato al Festival di Cannes; ora firma 'We Own the Night' ('La notte ci appartiene', motto della polizia di NewYork). I tre film di Gray si somigliano: sono sempre gialli a sfondo familiare, con risvolti di tradimento, che guardano al primo Scorsese ('Mean Streets') e al Coppola dei vari Padrino. Nonostante la cadenza non proprio assillante con la quale escono i suoi film, o Gray non trova chi gli finanzi storie diverse o non ha altri interessi nella vita che la malavita. Così con 'We Own the Night' si ha di nuovo la sensazione di déjà vu. Che si aveva con 'The Yards' rispetto a 'Little Odessa'. (...) Nulla è meno che professionale in 'We Own the Night', ma i personaggi sono logori. Uno l'incarna Tony Musante, con severa dignità." (Maurizio Cabona, 'Il Giornale', 26 maggio 2007)"Il regista, dichiaratamente viscontiano nelle sue ossessioni patrilineari, James Gray (e un cast superbo, da Robert Duval, il patriarca piedipiatti, ai figli, diversamente indocili e dello stesso dipartimento, Joaquin Phoenix e Mark Wahlberg; che sono perfettamente rispecchiati nella struttura piramidale della contrapposta mafia russa) riprende, non senza humour perfido, lo schema del 'giustiziere della notte' alla Michael Winner, rovesciandolo secondo le sensibilità di una nazione in guerra, bisognosa di segnaletica e disciplina esplicita." (Roberto Silvestri, 'Il Manifesto', 26 maggio 2007)"Venature mistiche e simbologie religiose apparentano 'I padroni della notte' a certi film di Scorsese o di Abel Ferrara. Circola un'atmosfera depressiva che si traduce in scelte scenografiche: il minaccioso locale notturno, gli squallidi distretti di polizia, i motel anonimi e tetri." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 14 marzo 2008)"'Padroni della notte' è un'immersione totale nei luoghi della città, una New York anti-cartolina. I suoi rituali etnici in via di estinzione, sradicati dalla gentrificazione del tessuto metropolitano. I personaggi che si materializzano dal buio e dalla pioggia per poi venirne reinghiottiti. Bellissima la scena dell'inseguimento in macchina. Barocco, eccessivo come iperbolico melodramma criminale giapponese il finale tra le canne. Gray manca di ironia, di distanza. In realtà, l'essere un occhio così 'fuori moda' dà al suo cinema una ricchezza preziosa." (Giulia D'Agnolo Vallan, 'Il Manifesto', 14 marzo 2008)"Una difficile e bella storia di famiglia simile alle tante uscite in questo periodo: interessante anche perché diretta dal singolare regista newyorchese trentottenne autore di 'Little Odessa' (...) Il film forte, ben fatto, moraleggiante, svela un dettaglio criminale: gli spacciatori possono trasportare droga sul pelo delle pellicce femminili. Prediletto l'opossum." (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 14 marzo 2008)"'I Padroni della notte' è un poliziesco vecchio stampo che James Gray si lascia sfuggire di mano solo nel finale, un po' troppo a cliché. Gray è un cineasta 'raro' (finora tre film, uno ogni sei anni) con ossessioni riconoscibili: racconta sempre favole morali sullo sfondo di una Brooklyn violenta e multietnica, nella quale i valori arcaici dei vecchi immigrati vengono messi alla prova dalle sfide della 'giovane America'." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 14 marzo 2008)"James Gray, classe 1969, sfrutta il motivo più classico dei fratelli rivali in seno al suo ambiente favorito, la comunità russo-americana (era suo il notevole 'Little Odessa'). (...) Più che l'intreccio, non imprevedibile, conta il gioco di risonanze affettive che Gray costruisce dentro a questo microcosmo di russo-americani più o meno integrati, conniventi o criminali. Con risonanze quasi bibliche nell'intrecciarsi di legami di sangue e di fedeltà dietro alla guerra spietata combattuta da Phoenix contro i suoi ex-amici. E con straordinarie impennate di stile che confermano il grande talento di Gray, ma anche la natura intimamente manierista di un cinema che sembra sempre curiosamente "in costume". (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 14 marzo 2008)"James Gray, di cui in Italia si è visto solo il magico debutto 'Little Odessa', è un autore che parla solo di e col cinema, osservando i volti e muovendo la macchina, agendo di montaggio e di sceneggiatura ma anche richiamando in servizio la tragedia greca. Un film che fila via senza stop come un treno nella notte, ricco di cromosomi di Aldrich e Fleischer. E l'analisi di sentimenti in gloria finale di famiglia non sbanda nella retorica: il soggetto così banale e telefilmico diventa qualcosa che ci sembra di vedere per la prima volta. Anche perché è molto azzeccato il trio con papà Duvall e i suoi juniores, Joaquin Phoenix e Mark Wahlberg." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 21 marzo 2008)
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Titolo Notte brava a Las Vegas
Titolo originale What Happens In Vegas...
Anno 2008
Regista Tom Vaughan
Durata 99
Paese USA
Genere commedia, romantico
Trama Joy e Jack non si conoscono ma passano insieme una notte sfrenata a Las Vegas, dove entrambi sono andati per consolarsi di essere stati scaricati: lei, sentimentalmente, dal fidanzato e lui, economicamente, dal padre. Il mattino seguente i due scoprono, al loro risveglio, di essere novelli sposi. La decisione di divorziare sembrerebbe la più ovvia se non fosse che, grazie a un quarto di dollaro prestato da Joy e giocato da Jack in una 'slot machine', gli sposini si trovano improvvisamente possessori di ben 3 milioni di dollari. La disputa sul reale possessore del denaro porta Joy e Jack di fronte a un giudice che li condanna a portare avanti il matrimonio per almeno sei mesi.Critica "Fra un ehi ehi, un evai! E affini nessuno, anche al primo film della sua vita, può avere dei dubbi sul lieto fine in agguato. Il problema è che ci vogliono ben 95 minuti per arrivarci, ed è anche punitivo per il pubblico, oltre che per i piccioncini che si ingannano goliardicamente." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 9 maggio 2008)"'Notte brava a Las Vegas' è il tipo di commedia matrimoniale per star carine che, in pratica, hai già visto quando ne hai visto il trailer. Inventato il soggetto, la sceneggiatrice Dana Fox mette il pilota automatico sgranando tutto il repertorio delle situazioni che, a Hollywood, vanno per la maggiore in questo genere di film, compresa la nota malinconica in sottofinale e l'inseguimento dell'innamorato che, dai e dai, ha finalmente capito di essere tale. Tutto il resto è affidato ai musetti di Cameron, che ormai dovrebbe misurarsi con ruoli più adulti. Una sola novità: personaggi secondari particolarmente antipatici."(Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 9 maggio 2008)"I matrimoni ad alto tasso alcolico sono frequenti a Las Vegas. E i protagonisti di 'Notte brava a Las Vegas', catapultati da New York nella città del vizio per antonomasia, vivono una notte sfrenata e il mattino seguente si svegliano nello stesso letto e con una fede al dito. Non sarebbe niente di irreparabile, queste unioni sbrigative possono essere risolte con un altrettanto frettoloso divorzio. Ma la sceneggiatrice Dana Fox con un brillante espediente legittima la prerogativa unica del cinema americano di trasformare la cronaca in avvincenti divagazioni narrative. (...) Commedia romantica con un occhio alle schermaglie delle grandi commedie sofisticate, da quelle con Spencer Tracy e Katharine Hepburn a 'La guerra dei Roses'. Ma il regista Tom Vaughan non è all'altezza della bella sceneggiatura e i pur bravi Cameron Diaz e Ashton Kutcher sfoggiano glamour e sex appeal, senza la necessaria crudeltà di due coniugi per caso pronti a sbranarsi." (Alberto Castellano, 'Il Mattino', 10 maggio 2008)
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Titolo Il respiro del diavolo - Whisper
Titolo originale Whisper
Anno 2007
Regista Stewart Hendler
Durata 95
Paese USA
Genere horror
Trama Max Harper, un ex detenuto, vorrebbe aprire un'attività in proprio e iniziare una nuova vita con la sua compagna, Roxanne. Tuttavia la banca rifiuta di concedergli un prestito e Max, per ottenere i soldi necessari, decide di mettere a segno un ultimo colpo con due suoi ex compari, Sydney e Vince. L'incarico, assegnato loro da un misterioso committente, è quello di rapire il piccolo David, figlio di una delle donne più ricche del Vermont. La missione, che sulla carta era considerata come un facile lavoretto, si dimostrerà un affare decisamente complicato. Il piccolo David, infatti, è dotato di poteri straordinari e i rapitori saranno costretti ad affrontare un vero e proprio viaggio all'inferno.
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Titolo Chi ha incastrato Roger Rabbit
Titolo originale Who Framed Roger Rabbit
Anno 1988
Regista Robert Zemeckis
Durata 103
Paese USA
Genere animazione, azione, commedia, family, fantasy, thriller
Trama In uno studio cinematografico della Hollywood del 1947 due cartoon stanno recitando una scena molto movimentata: Baby Herman, un poppante tutto pepe e pieno di trovate geniali e pericolose, e il suo baby-sitter, il coniglio Roger, che per togliere il piccolo da situazioni rischiose si mette lui in grossi guai. Nonostante il suo impegno Roger non soddisfa il regista con la sua interpretazione: egli infatti è assillato da preoccupazioni familiari, teme che la sua bellissima moglie Jessica, cantante di successo, lo tradisca col padrone di Cartoonia, Marvin Acme. Viene incaricato di trovare le prove del tradimento il detective privato Eddie Valiant, sempre senza soldi e mezzo alcolizzato da quando suo fratello Teddy fu ucciso cinque anni prima da un cartoon. Eddie riesce a trovare ciò che cercava e per Roger è la disperazione: questi lascia l'ufficio del produttore Mr. Maroon in preda ad una nera desolazione e nulla può fare per consolarlo Valiant che ne ha compassione. La polizia trova il cadavere di Acme e dà subito la colpa a Roger: si recano allora da Valiant sia Baby Herman sia la stessa Jessica per implorarlo di svolgere indagini per scagionare il coniglio che è innocente. Eddie allora inizia le sue ricerche e si fa aiutare da Dolores, una cameriera di un bar, che ama l'uomo da tempo ed è sempre disposta a dargli una mano. Il detective è convinto che sia stato Maroon a far uccidere Acme per impadronirsi di Cartoonia, essendo questi morto senza testamento. Ma quando anche Maroon viene ucciso, Eddie capisce che il colpevole è altrove. Forse è proprio il cinico giudice Doom, che ce l'ha a morte con Roger e con tutti i cartoni. Infatti egli vorrebbe, con la sua mente distorta e malvagia, distruggere totalmente Cartoonia e i suoi abitanti per costruire una metropoli moderna, piena di palazzi enormi, superstrade, negozi immensi, fast food e pubblicità ovunque. Per raggiungere il suo perfido scopo non esita ad annientare i cartoni che gli capitano a tiro, tramite la terribile "salamoia" e vuole catturare Roger, che ha dalla sua il sostegno di Valiant e della stessa polizia. Mette sulle sue tracce un'orribile banda di faine-cartoon, che non esitano un istante a catturare Roger, sua moglie Jessica, che non l'ha mai tradito e tutti i loro amici. Valiant ormai è deciso a difendere Roger, si arma di tutto punto, ed è pronto ad affrontare Doom. Valiant riesce, con espedienti e trucchi di ogni genere, ad eliminare una dopo l'altra le odiose faine e alla fine ad uccidere lo stesso Doom, autore di tutti i delitti, che non era altro che un cartoon travestito e per di più anche assassino di Teddy, il fratello di Eddie. Alla fine si trova il testamento di Acme col quale si dice non solo che Cartoonia continuerà ad esistere ma che la sua proprietà spetta di diritto a tutti i suoi allegri e divertenti abitanti. Finalmente trionfa l'amore e la giustizia: Roger e Jessica sono più innamorati e uniti che mai e Valiant capisce veramente che Dolores lo ama sul serio con tutti i suoi pregi e difetti.Note - DAVID DI DONATELLO 1989 PER MIGLIORE PRODUZIONE STRANIERA (FRANK MARSHALL E ROBERT WATTS).- IL FILM E' STATO CAMPIONE D'INCASSI NEGLI STATI UNITI NEL 1988.Critica "Una imponente impresa tecnica: effetti speciali in quantità, straordinario abbinamento di attori e cartoons, nostalgia per il "noir" degli anni quaranta. E' la prima coproduzione Spielberg/ Disney. Tutto bene? No, c'è un grosso rischio: materializzando ogni fantasia, la fantasia autentica va perduta." (Francesco Mininni, 'Magazine Italiano tv')"Film eccezionale, senza il minimo scarto tra realtà e disegno. Pure notevole la ricchezza delle citazioni, delle trovate comiche, ma presto ci si accorge che procede per accumulazione, non per sviluppo narrativo." (Laura e Morando Morandini, 'Telesette')"Tratto da un romanzo di Gary K. Wolf, l'opera è un atto d'amore verso il cinema hollywoodiano degli anni '50 e un divertimento per gli spettatori di tutte le età: ritmo frenetico, gags, colpi di scena e sentimento in una intricata vicenda che coinvolge personaggi veri." ('Radiocorriere tv')
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Titolo Wolf Creek
Titolo originale Wolf Creek
Anno 2004
Regista Greg McLean
Durata 99
Paese AUSTRALIA
Genere thriller
Trama Liz e Kristy, due ventenni inglesi, decidono di trascorrere tre settimane nel remoto outback australiano insieme al loro amico Ben. Preparano con attenzione l' itinerario e decidono di andare a visitare Wolf Creek, un cratere di grandi dimensioni, creato dall'impatto di un meteorite con il suolo terrestre. Alla fine della visita i tre vanno a riprendere la loro autovettura, ma la trovano in panne. Mick, un abitante del posto, offre loro il suo aiuto. I tre amici si credono in salvo, invece è solo l'inizio di un incubo...Note - PRESENTATO IN CONCORSO ALLA 37MA QUINZAINE DES REALISATEURS, CANNES 2005.Critica "Vuoi vedere che ora anche l'Australia, dopo Giappone, Cina e Corea, cerca di insidiare l'horror made in Usa? A giudicare da 'Wolf Creek' la produzione australiana non sembra in grado di arricchire il genere, forse anche perché sono più congeniali alla tradizione culturale e ai seducenti grandi spazi di questo paese le atmosfere fantastiche alla 'Picnic a Hanging Rock'. Per raccontare la sua storia thriller/horror, infatti, il giovane Greg McLean si ispira a due serial killer che in passato hanno realmente terrorizzato l'Australia. (...) Il Wolf Creek del titolo è un vero cratere provocato da un meteorite milioni d'anni fa ed è il luogo dove i tre gitanti restano isolati in balia di un massacratore dalla Faccia-di-cuoio. Con un plot collaudato e tipologie viste tante volte, il regista dispensa la giusta dose di tensione, di ritmo e di effetti-shock senza risparmiare sulla macelleria. (Alberto Castellano, 'Il Mattino', 19 novembre 2005)"La cosa migliore e originale è il deserto australiano ripreso con una certa sincera angoscia dal debuttante Greg Mc Lean che lo conosce bene: il trucco è che in quei paesaggi si muove almeno un mostro di campagna e che nessun senso del fantastico può eguagliare la perfidia nascosta in noi. La cosa peggiore? La storia così tremendamente banale di due amiche e un ragazzo impacciato che partono con il loro fuoristrada alla ricerca di un cratere ma scompaiono (ma in Australia svaniscono 30.000 persone l' anno, figurarsi), vittime di un serial killer contadino che spunta nella notte e offre tre soluzioni diverse ai malcapitati. Tutto come da copione e non si capisce perché alcuni spettatori si siano messi tanta paura per una maldestra imitazione del ben più inquietante 'Picnic a Hanging Rock'. Attori giovani e pronti a tutto, ma la squadra delle emozioni, dopo l' incipit, gioca di riserva." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 19 novembre 2005)
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Titolo Agente 007, Il mondo non basta
Titolo originale World Is Not Enough, The
Anno 1999
Regista Michael Apted
Durata 128
Paese USA, GRAN BRETAGNA
Genere avventura, azione, spionaggio, thriller
Trama Sir Robert King, capo della 'King Enterprises' che controlla il condotto occidentale del nuovo giacimento di petrolio nel mar Caspio, viene improvvisamente eliminato. Il governo inglese incarica James Bond di scoprire i mandanti dell'assassinio e insieme di proteggere Elektra, la figlia del magnate, dal pericolo rappresentato da Renard, famoso terrorista internazionale, e dalla sua aiutante Christmas Jones, esperta di armi nucleari. Sulle montagne del Caucaso Bond ed Elektra sfuggono ad un attentato, poi raggiungono la villa della ragazza sulle rive del mar Caspio. Qui, la sera, Bond incontra un vecchio avversario, l'ex agente del KGB Zukowsky, proprietario del casinò e fornitore di caviale e champagne per capi mafia e diplomatici. Le indagini così si allargano, Bond uccide Davidov, capo della sicurezza della King Enterprises, si sostituisce a lui, arriva nel Kazakistan, dove un gruppo di scienziati sta smontando le testate nucleari. Renard riesce a fuggire, portandosi dietro una bomba dal tremendo potere distruttivo. Bond adesso deve scoprire chi è il mandante di queste azioni di Renard. In una girandola di inseguimenti, Bond arriva in Turchia, poi sul mar Caspio, poi ancora ad Istambul, dove finalmente il responsabile rivela il proprio volto: si tratta di Elektra, che voleva prendere il controllo su tutto il petrolio dei vari condotti. Ma sia Renard che Elektra rimangono vittime degli scontri con Bond, che ora può restare solo con Christmas.Critica "Siamo arrivati all'avventura n°19 nella quale l'agente James Bond continua a fare sfoggio di tutta la propria bravura professionale e insieme dell'inossidabile fascino personale. Ricordato che si tratta della terza interpretata da Pierce Brosnan, non ci sono molte osservazioni da aggiungere rispetto al precendente 'Il domani non muore mai' (1997). Quando si profilano pericoli per la comunità internazionale, Bond si mette in azione, affronta situazioni ad alto rischio, si sposta con rapidità, spara, uccide se occorre, non si nega qualche piacevole diversivo. Il tutto supportato da ingegnosi effetti speciali e ritmo sostenuto. Ne deriva uno spettacolo commerciale di elevato livello produttivo, che si segue volentieri anche se non è esente da qualche momento di stanca: forse, dopo 37 anni, il personaggio non ha più la freschezza di un tempo." ('Segnalazioni cinematografiche', vol. 129, 2000)
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Titolo World Trade Center
Titolo originale World Trade Center
Anno 2006
Regista Oliver Stone
Durata 129
Paese USA
Genere drammatico
Trama La vera storia di due poliziotti newyorchesi, John McLoughlin e William J. Jimeno, sopravvissuti dopo essere rimasti sepolti sotto le macerie di Ground Zero dove si erano recati per partecipare alle operazioni di soccorso dopo l'attacco terrorista alle torri gemelle dell'11 settembre 2001...Note - PRESENTATO FUORI CONCORSO ALLA 63MA MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2006).Critica "L'inizio è terribile, degno delle migliori regie di Stone. La progressione dell'attentato terroristico, ancora poco chiaro a tutti, poi i suoi effetti devastanti, ricostruiti con grande sapienza tecnica. Quindi i soccorsi, ancora in cifre corali, con l'azione che si restringe presto attorno al gruppetto di agenti sepolti vivi, di cui solo due si salveranno. Mentre, in parallelo, si seguono le angosce dei loro familiari a casa, attaccati alla televisione, in attesa spasmodica di notizie. Forse, questa parte, sia con i due agenti che ce la mettono tutta per sopravvivere, sia con i loro familiari in cifre un po' bozzettistiche, è meno solida dal punto di vista cinematografico del preambolo, che ha invece un impatto visivo, ritmico e di suoni addirittura sconvolgente. Ma anche così, nel suo insieme, il film, tessuto di storie tutte vere, ha i suoi meriti. Anche perché fa ricordare. Nei panni dei due agenti sopravvissuti, Nicolas Cage e Michael Peña. Con i toni giusti." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 2 settembre 2006) "A chi si rivolge Oliver Stone con il suo 'World Trade Center' dedicato ai massacri terroristi dell'11 settembre? È bene dirlo subito: a tutti gli spettatori semplici, non ossessionati dalla casacca ideologica. Questo non vuol dire che il provocatore di 'Platoon', 'Jfk' e 'Assassini nati' rinunci a un'interpretazione personale della storica tragedia né tantomeno a un progetto stilistico di nerbo: angoscioso eppure aperto alla speranza, apocalittico eppure attento al sentimento, il film vuole e riesce innanzitutto a essere un omaggio agli agenti della polizia portuale intrappolati nelle macerie delle Twin Towers e poi miracolosamente salvati, ai loro soccorritori e alla spontanea solidarietà che si manifestò in tutto il paese in quelle ore terribili. Non a caso Stone viene alternativamente strattonato a destra e a sinistra: la sua fede sta nelle viscere, la sua morale nelle immagini, la sua legge nel fattore umano e anche questa ricostruzione tutt'altro che asettica mira, piaccia o non piaccia, all'abnorme nudità dei fatti. L'innocenza primitiva di 'World Trade Center' parla dei valori americani per eccellenza - Dio, individuo, patria, onore, famiglia, coraggio, sacrificio - rinunciando alle cautele di circostanza e, al contrario, incrementando l'unica retorica congeniale al regista e cioè una superba miscela che trasforma incessantemente la realtà in fiction e viceversa. (...) Stone non ha scheletri nell'armadio da farsi perdonare e bisogna solo togliersi il cappello davanti al suo granitico appello ai valori di bontà e solidarietà che non fanno chic e anche in America sono così spesso abrogati." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 2 settembre 2006)"Bollato con colpevole faciloneria a sinistra perché non è un film furioso 'alla Oliver Stone', la ricostruzione dell' 11 settembre nel respiro agonico autentico dei due pompieri sepolti sotto le macerie delle Twin Towers, salvati infine dall'eroe yankee senza paura, è un tuffo emotivo scelto nella retorica Usa. Scelto di fare del dramma un melodramma, il film è coerente nel correre dalle famigliole in panne alle ore disperate della tragedia sotto terra girata in modo magistralmente contagioso, un teatro da camera e macerie. Il contributo di Stone alla causa non è certo stare dalla parte di Bush ma resuscitare, garantendo con la sua carriera, la retorica eroica che per forza restringe l' arco della tragedia su cui l'autore sospende il giudizio politico storico, privilegiando i fattori umani. La paura si tocca, si palpa, si vive e Nicolas Cage è stavolta un ottimo attore." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 13 ottobre 2006)
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Titolo Wrestler, The
Titolo originale Wrestler, The
Anno 2008
Regista Darren Aronofsky
Durata 105
Paese USA
Genere azione
Trama L'ex campione di wrestling Randy Robinson, detto "l'Ariete", vent'anni dopo la sua gloriosa carriera sul ring, sbarca il lunario esibendosi nelle palestre e nei centri ricreativi sociali del New Jersey e degli stati confinanti. Quando però nel bel mezzo di un incontro viene colto da un attacco di cuore, il medico lo esorta a smettere. Costretto al ritiro forzato, Randy inizia a riflettere sulla propria vita e sugli errori commessi. Ma la passione per il wrestling lo porta nuovamente a combattere, rischiando la vita, contro un vecchio avversario.Note - LEONE D'ORO ALLA 65. MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2008).- GOLDEN GLOBE 2009 PER MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA DI FILM DRAMMATICO (MICKEY ROURKE) E CANZONE ORIGINALE. MARISA TOMEI ERA STATA CANDIDATA COME MIGLIOR ATTRICE NON PROTAGONISTA.- CANDIDATO ALL'OSCAR 2009 PER: MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA (MICKEY ROURKE) E ATTRICE NON PROTAGONISTA (MARISA TOMEI).- CANDIDATO AL DAVID DI DONATELLO 2009 COME MIGLIOR FILM STRANIERO.- CANDIDATO AL NASTRO D'ARGENTO 2009 COME MIGLIOR FILM EXTRAEUROPEO.Critica "Il regista Darren Aronofsky col suo 'The Wrestler' inietta finalmente adrenalina pura nel pubblico della Mostra che va in visibilio e porta in trionfo un attore che le prende e le dà, da sempre, nella vita e nel cinema come il suo Randy Robinson. Mickey Rourke si mostra gigante, uno Zampanò coraggioso, umiliato e offeso mascherato da re del wrestling che prende a calci e pugni se stesso e il destino. Rourke tra perdizione e resurrezione ha il coraggio di mettere in gioco tutto; pochi ex divi hollywoodiani l'hanno fatto, perché Randy è Mickey, quando al culmine della carriera agli inizi '90 tra 'Rusty il selvaggio', 'Nove settimane e ½' e 'Angel Hearth' inizia a perdersi e a perdere tutto. Soldi, notorietà e faccia. Quella che deciderà di giocarsi sul ring, pugile professionista a 39 anni conosciuto come El Marielito. Per tre anni, solo combattimenti. Oggi Rourke con questa prova d'attore straordinaria ha tutte le carte in regola per regalare altre sculture cinematografiche e, ci auguriamo, per aggiudicarsi un riconoscimento a Venezia". (Leonardo Jattarelli, 'Il Messaggero', 6 settembre 2008) "Tutto procede come da copione, con punte di una convenzionalità esasperata - eppure gradevole - quando il bestione, con i lunghi capelli ossigenati racchiusi in una cuffietta e le manone tuffate tra insalate e formaggi, si mette a fare per sopravvivere il commesso al bancone della rosticceria. Nessuno crede che resisterà al richiamo della folla adorante e, infatti, 'The Wrestler' non si fa mancare nulla e punta dritto alla scelta funesta di Randy d'inscenare la pamtomima della rivincita con il collega panzone travestito da arabo e soprannominato l'Ayatollah. Musica tonitruante, inquadrature ad altezza di botta in testa, dialoghi strappalacrime, un po' di sesso alla cocaina, odori di spogliatoio tra olio e disinfettante: nel corso di una visione prevedibile, s'affermano il piacere proibito di una risata e il doveroso slancio d'ammirazione per il vecchio, simpaticissimo Mickey". (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 6 settembre 2008)"A spegnere la luce del concorso, se non ancora della Mostra, è arrivato Darren Aronofsky con 'The Wrestler'. Con più logica la luce avrebbe dovuto accenderla, perché il film fa dimenticare le velleità di 'The Fountain', col quale Aronofsky era giunto al Lido due anni fa. Merito suo e di Mickey Rourke aver dato alla Mostra uno spasmo terminale che la rende meno brutta. Come Lottatore di mezz'età Rourke offre una delle migliori prove di una carriera altalenante. Circa vent'anni fa s'era dato al pugilato, salendo otto volte sul ring e scendendone imbattuto come atleta, ma sfigurato e soprattutto dimenticato come divo. Il suo film 'Homeboy' ne era stato una prefigurazione. Diceva Drieu: 'I falliti, che uomini meravigliosi!'. Più meravigliosi gli ex falliti, che possono vantarsi: 'Solo chi cade può risorgere'. È con quest'aura che Rourke ('L'anno del dragone', '9 settimane e ½', 'Angel Heart...') è stato accolto". (Maurizio Cabona, 'Il Giornale', 6 settembre 2008)"E' la classica storia dell'ex campione che tira avanti in match di contorno meditando il grande ritorno; nel frattempo si lecca le ferite, tenta di riconciliarsi con la figlia, intrattiene un'altalenante relazione con una spogliarellista (Marisa Tomei, bravissima) anch'essa piena, nel cuore, di cicatrici. Un film 'già visto' (Aronofsky cita con deferenza 'Fat City' di Huston, ma i precedenti sarebbero millanta) basato sull'identificazione personaggio/attore". (Alberto Crespi, 'L'Unità', 6 settembre 2008)"Aronofsky passa dal dramma cabalistico 'P greco', che lo lanciò nel 1998 al Sundance, allo psichedelico new age di 'The Fountain' e adesso ci lascia come ricordo del Lido 2008 quest'amaro tributo d'amore ai 'loosers'". (Mariuccia Ciotta, 'Il manifesto', 6 settembre 2008)"Una certa nostalgia per i tempi trionfanti del 'wrestler' la si avverte nel buon film di Darren Aronosfky interpretato da Marisa Tomei e dal redivivo Mickey Rourke". (Francesco Bolzoni, 'Avvenire', 6 settembre 2008)"Con una grande e lunga chioma fintobionda, con le alterazioni della faccia procuratosi nei tre anni un cui ha fatto il pugile professionista, con il soprannome di Marielito, Rourke nella parte del relitto umano è bravo e commovente. L'ultimo film della 65° Mostra, nulla di speciale, è interessante nella sua minuziosa descrizione dell'ambiente del wrestling: i trucchi, gli accordi tra lottatori avversari, l'uso della pistola sparachiodi, il modo per cominciare falsamente a sanguinare ed eccitare il pubblico, i costumi che danno splendore e mettono paura". (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 6 settembre 2008)"Aronofsky prende un tema classico del cinema americano (la triste deriva degli sconfitti, qui un lottatore di wrestling sulla cinquantina) per declinarlo con abilità e un giusto mix di emozioni. E nei panni del protagonista condannato a tornare sul ring dalla propria incapacità di adattarsi alla vita quotidiana, Mickey Rourke offre una prova da grande attore, convincente e commovente". (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 6 settembre 2008)"Partenza originale nel mondo rozzo, leale e affettuoso dei lottatori di wrestling. Ma si scivola nella convenzione quando il vecchio campione, buffonesco e acciaccato come Buffalo Bill al tramonto, dopo un infarto tenta la redenzione sentimentale di una vita di bagordi. Bel finale. La prova di Rourke dice: premiatemi". (Paolo D'Agostini, 'la Repubblica', 6 settembre 2008)"Un eroe alla Soriano, un'icona di sport e sentimento che si fa metafora di una società, egoista e crudele con chi è troppo sensibile o è debole. E' la cronaca di una vita straordinariamente precaria, di una star decaduta e decadente, fuori e dentro il film, di un mondo che non ha più eroi. Ed è, infine, un bellissimo e disincantato sguardo sugli ani 80 e dintorni, sottolineato da una delle più belle colonne sonore degli ultimi anni, con tanto di singolo inedito (e scritto per il film) di Bruce Springsteen". (Boris Sollazzo, 'Il Sole 24 ore', 6 settembre 2008)
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Titolo X-Men
Titolo originale X-Men
Anno 2000
Regista Bryan Singer
Durata 104
Paese USA
Genere azione, fantascienza, fantasy
Trama Ciclope, Jean Grey e Tempesta sono i figli dell'atomo, il prossimo anello nella catena evolutiva. Ognuno di loro - nato da una mutazione genetica - ha un potere particolare: gli occhi di Ciclope emettono un raggio di energia che può scavare un buco nelle montagne. La forza di Jean è sia telecinetica che telepatica. Tempesta può manipolare ogni forma di condizione metereologica. Nonostante gli X-men siano avversati da quanti non accettano la loro diversità, essi, guidati dal professor Charles Xavier, hanno imparato ad utilizzare i loro poteri per il bene dell'umanità. La loro prossima battaglia è contro Magneto, un vecchio amico e collega del professore convinto che esseri umani e mutanti non possano convivere e che i mutanti siano gli eredi del futuro del mondo. TRAMA LUNGAPer l'umanità il momento è delicato. I mutanti, esseri il cui DNA è corredato da un gene X che garantisce loro poteri sovrumani, sono in procinto di sopravanzare l'uomo. Il senatore Kelly, preoccupato, cerca di far approvare dal congresso degli Stati Uniti una legge che permetta la schedatura di tutti gli esseri sui quali sia stato riscontrato un gene mutante. L'iniziativa scatena violente reazioni sul fronte dei mutanti, che si dividono in due fazioni. Da un lato la Fratellanza dei mutanti malvagi, con a capo Magneto, che non ha intenzione di farsi schedare come bestiame ed è pronta a combattere la guerra contro l'umanità. Dall'altra c'è il gruppo guidato dal genetista professor Xavier, paraplegico, che si sforza di cercare una via di convivenza con gli umani. In attesa di questa soluzione però i suoi uomini vivono come terroristi. Ciclope, Tempesta, Jean Grey si dedicano con molti rischi alla loro missione, e con loro ci sono altri due appena arrivati: l'adolescente Rogue, e Wolverine, essere dall'indole bestiale capace di guarire subito da qualsiasi ferita e dotato di micidiali artigli nelle mani. La lotta tra i due gruppi e contro il senatore Kelly prosegue senza esclusione di colpi. Il senatore cade prigioniero dei mutanti, e Magneto poi rapisce Rogue. Per liberarla si scatena una battaglia spaziale di grandi proporzioni. Poi Wolverine affronta Magneto, e Rogue è salva. Ora Magneto e Xavier sono di fronte e giocano a scacchi. Magneto vorrebbe la guerra. Xavier lo conduce alla calma, e lo congeda con parole di pace e di amicizia.Note - PRODUTTORE ESECUTIVO: STAN LEE.Critica "Spettacolone che scorre implacabile con tutte le mutazioni a vista. Un po' dejà-vu, ma l'attacco del film è memorabile. Dall'autore de 'I soliti sospetti' ci saremmo aspettati una maggiore ambiguità. (...) In America sale zeppe e applausi alla fine. Comunque fastoso". (Piera Detassis, 'Panorama', 24 agosto 2000)"Di tutto e di più, compresa la voglia del regista Bryan Singer di confezionare il regalo con un purtroppo attuale allarme verso il razzismo: ma i piani non s'incontrano. Il filmone arriva plumbeo nel cielo dark per proteggere diversi di ogni tipo (?) Ma sotto il fascino visivo resta ben poco, la noia tecnologica non fa miracoli, le battute sono impronunciabili anche dalle new entry del cast come l'australiano Hugh Jackman e l'ex bambina di 'Lezioni di piano' Anna Paquin in ruolo da Zelig". (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 28 ottobre 2000) "Il film di Singer non manca di appeal visivo; le coreografie d'azione di Corey Yuen sono sorprendenti. Malgrado lo sforzo di sintesi, invece, la sceneggiatura è un po' ripetitiva. Quasi impossibile approfondire i caratteri di così numerosi personaggi, tanto più quando si deve lasciare spazio a oltre quattrocento inquadrature con effetti speciali". (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 31 ottobre 2000) "Infinite allusioni ai razzismi contemporanei, alla necessità di armonia multietnica, alla violenza razzista e alle ritorsioni terroriste, in una vicenda di mutanti (...) Piuttosto divertente: ed è persino commovente ritrovare il nostro vecchio amico Patrick Stewart di 'Star Trek' ". (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 17 novembre 2000)
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Titolo X-Men: conflitto finale
Titolo originale X-Men: conflitto finale
Anno 2006
Regista Brett Ratner
Durata 103
Paese USA
Genere azione, fantascienza, fantasy
Trama Finalmente la sfida tra umani e mutanti sta per subire una svolta decisiva: questi ultimi verranno accettati e integrati nella comunità se decideranno di sottoporsi alla cura per la sottrazione dei loro poteri. Il dottor Xavier e i suoi seguaci, fedeli al concetto di tolleranza, si trovano ancora una volta a dover combattere contro l'ostile Magneto e il suo esercito di mutanti ribelli che si è arricchito di una nuova terribile alleata: la Fenice Nera, ovvero la rediviva Jane Grey passata dall'altra parte della barricata...Note - STAN LEE FIGURA TRA I PRODUTTORI ESECUTIVI.- PRESENTATO FUORI CONCORSO AL 59MO FESTIVAL DI CANNES (2006).Critica "L'universo fracassone di 'X-Men: The Last Stand' lasciava temere il peggio. Invece il terzo episodio della serie, diretto stavolta da Brett Ratner, sostiene le immancabili scene superspettacolari con un plot molto efficace e nel suo genere attualissimo. (...) Nei limiti imposti dalla roboante estetica cine-fumettara, il dilemma regge benone (qualcuno in sala evocava sorridendo gli irlandesi di Loach, divisi anche loro fra ala dura e morbida). Lo spettacolo culmina sul ponte di San Francisco, sradicato dai piloni e appoggiato un po' più in là, per collegare Alcatraz alla terraferma. Ma il meglio sta forse nei nuovi personaggi, giustamente spruzzati di ironia, il migliore dei quali è quel ministro degli affari mutanti con pelle blu e criniera leonina che chiuso nel suo ufficio studia le carte... appeso al soffitto come un pipistrello." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 23 maggio 2006) "Con il metro del cinéfilo accademico, niente di più dell'ennesimo blockbuster destinato alle tripudianti platee giovanili; ma, al confronto di tanti film pretenziosi e velleitari, non si capisce perché farebbe chic storcere il naso davanti a uno show a tutto schermo concepito e rifinito come dio comanda. Il terzo capitolo della saga degli 'X-Men', ispirata ai classici fumetti della Marvel, migliora i prototipi firmati da Bryan Singer innanzitutto perché il nuovo regista (il valoroso ex-videoclippista Brett Ratner) non deve estenuarsi nelle varie presentazioni degli straordinari personaggi e può prendere d'infilata la trama incentrata sull'ultima (per adesso) battaglia per la sopravvivenza dei mutanti. (...) Nonostante quest'esclusiva e per noi tutt'altro che peccaminosa vocazione all'azione spettacolare, 'X-Men: The Last Stand' riesce a tenere vive anche le metafore, per così dire, 'fantacoscienziali' congegnate dai mitici comics-book originali: la qualità di essere normali garantisce la sicurezza quotidiana? È segno o meno di viltà il rinunciare alla propria identità per sfuggire alle persecuzioni? Ancora resiste il sacro principio della libertà individuale? È un dono o una maledizione essere in possesso di un superpotere soprannaturale? Nell'ambito di un genere che, per sua fortuna, non deve guadagnarsi il pane col plauso di un pugno di giurati, quello che conta è il legame emotivo stabilito tra lo spettatore e i personaggi: proprio la sfida cinematografica primaria senza alcun dubbio vinta dai carnefici e dalle vittime dell'archetipo mutante." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 23 settembre 2006)
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Titolo X-Files - Voglio crederci
Titolo originale X-files: I Want To Believe, The
Anno 2008
Regista Chris Carter
Durata 104
Paese USA, CANADA
Genere fantascienza
Trama L'FBI da tempo ha chiuso la sezione dedicata alle investigazioni sui fenomeni paranormali, gli X-Files, ma quando sulle innevate colline della Virginia accadono misteriose sparizioni seguite da orribili ritrovamenti, gli agenti Mulder e Scully vengono richiamati a unire le loro forze per fare luce sul caso.Critica "Il racconto è un incubo ambiguo, losco, abnorme che sulla linea del fantastico horror genetico si segue con lo spargimento d'inutile adrenalina, giacché lo stesso storico regista Chris Carter ha messo di tutto, anche Bush, un'indigestione di panna e un vecchio prelato pedofilo. Ma saranno quei soliti due, Fox e Dana, a chiudere il caso. Cosa salvare? Visioni, scenografia." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 12 settembre 2008)"Pellicola perfetta per dividere i fan. Chi, dieci anni dopo il film e sei dalla fine della serie, ne sarà entusiasta comunque, non potrà non convenire che il due Moulder e Scully ha cambiato il mazzo per un gioco d'amore: un rapido bacio, una notte d'amore ed un segreto che li accomuna. Di mistery ben poco, con una vicenda che esclude il paranormale, tranne un distratto accenno alle virtù medianiche di Scully. (...) Alcune sequenze pseudo-horror rimandano a 'Saw L'enigmista'. Resta la freddezza dell'esecuzione da parte dell'inventore della serie Chris Carter." (Adriano De Carlo, 'Il Giornale', 12 settembre 2008)
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Titolo X-Men le origini - Wolverine
Titolo originale X-men Origins: Wolverine
Anno 2009
Regista Gavin Hood
Durata 118
Paese USA
Genere azione, fantascienza, fantasy, thriller
Trama Il violento e romantico passato di Logan-Wolverine, che per la sua sete di vendetta ha accettato di entrare nel programma militare ideato da William Stryker, chiamato 'Arma X', venendo così trasformato in una feroce macchina da guerra in possesso di incredibili poteri di guarigione, artigli retrattili e una furia primaria.Note - PREQUEL DEI TRE FILM REALIZZATI DAL 2000.- STAN LEE, INVENTORE DELLA SERIE A FUMETTI INSIEME A JACK KIRBY, FIGURA COME PRODUTTORE ESECUTIVO.Critica "Sono invece gli effetti digitali a farla da padrone, con una predilezione per le esplosioni con spostamento d'aria al seguito, perfette per agitare quel tanto che è indispensabile l'abbondante capigliatura di Jackman, che naturalmente ogni volta si salva e abbandona l'area con passo sicuro e chioma sventolante. Anche se viene da chiedersi quale possa essere l'effetto di un tale spiegamento di abilità pirotecniche e tecnologie computerizzate nell'immaginario di un pubblico che in questo modo non ha più nemmeno la libertà di palpitare un po' per il proprio eroe, tanto l'effetto degli scontri e delle distruzioni è previsto e prevedibile. Resterebbe da aggiungere qualche cosa sulla carriera commerciale, ma anche sull'involuzione artistica del regista, il sudafricano Gavin Hood, che dopo aver vinto l'Oscar per il miglior film straniero con 'Il suo nome è Tsotsi' (battendo tra gli altri anche la nostra Cristina Comencini) e aver messo in campo qualche ambizione con il successivo 'Rendition', si è consegnato mani e piedi alla logica dei popcorn movie, dove regia e recitazione sono gli ultimi degli optional possibili. Ma forse sarebbe ingeneroso puntare il dito solo su di lui: è tutta la macchina degli studios che andrebbe messa sotto accusa una volta per tutte." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 30 aprile 2009)"Prequel dei tre 'X-Men, Wolverine' di Gavin Hood (anche lui mutante: dall'autorialità Oscar di 'Tsotsi' al popcorn movie) è divertente fino a quando è il romanzo di formazione di un supereroe. Nella seconda parte più sconclusionata perdiamo il conflitto familiare, siamo subissati da prevedibili colpi di scena e dobbiamo sopportare troppo il militare Stryker di Danny Huston. Così serioso da essere ridicolo. Ottimo invece il Victor di Liev Schreiber, ancora fratello violento dopo 'Defiance'. Ruba spesso la scena a Jackman. E' dal punto di vista della tragica bestia Victor, e non del cucciolone ingenuotto Wolverine, che avremmo voluto vedere la storia. Ecco l'orribile verità." (Francesco Alò, 'Il Messaggero', 30 aprile 2009)"Tutto fatto benissimo, con effetti speciali strepitosi. Hugh Jackman anche produttore molto adatto al ruolo, invenzione e fantasia. acrobazie, paesaggi mirabili della Nuova Zelanda e dell'Australia dove il film è stato girato, elicotteri all'inseguimento del mutante, una centrale nucleare abbandonata. Soltanto due inconvenienti: una lunghezza che fa dell'ultima rnezz'ora un intrico di ripetizioni; e il rimpianto di non aver visto il film a l2anni quando sarebbe stato perfetto." (Lietta Tornabuoni, 'L'Espresso', 14 maggio 2009)"Un collage di fantagiàvisto per 90 minuti. Solo il duellante finale apocalittico nella prigione/centrale nucleare e il direttore della fotografia di 'Moulin Rouge!' salvano il prequel più atteso dell'anno da un ululare poco affilato." (Alessio Guzzano, 'City', 15 maggio 2009)
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Titolo Yes Man
Titolo originale Yes Man
Anno 2008
Regista Peyton Reed
Durata 102
Paese USA
Genere commedia
Trama Carl Allen è un uomo la cui vita è finita in un vicolo cieco, soprattutto a causa della sua totale incapacità nel dare una risposta affermativa alle proposte che gli vengono fatte sul posto di lavoro o nella vita privata. Deciso a cambiare il corso della sua esistenza, Carl aderisce ad un programma basato semplicemente sull'impegno di dire 'sì' ad ogni proposta, sempre. La sua esistenza prenderà così una svolta straordinaria facendogli ottenere eccellenti frutti non solo sul lavoro, ma anche nel campo sentimentale. Tuttavia, dire sempre di 'sì' a tutto e a tutti può comportare qualche imprevisto.Critica "Jim Carrey è un portento della natura, e non solo, per la capacità di fare con la sua faccia, come Totò, quello che vuole. Sa far ridere fino alle lacrime, sa far piangere strappandoti un sorriso. Non è bravo solo a fare l'attore comico e l'attore drammatico - non dimentichiamoci che nella sua cinematografia si va da 'Mask' a 'Se mi lasci ti cancello' - ma lo è soprattutto nell'essere entrambi e contemporaneamente, come ha dimostrato nel biennio d'oro 98- 2000 in cui regalò 'The Truman show' e 'Man on the moon'. E il mattatore che viene dalla luna, pur non arrivando a quei livelli, con 'Yes man' del buon mestierante Peyton Reed ritorna in grandissima forma, suscitando risate fragorose. (...) E così dietro a una commedia semplice e immediata, dalla regia ordinaria, si trovano sottotesti acuti: la dissacrazione di finti guru e false filosofie e religioni, le contraddizioni della nostra società, la bellezza di sentimenti non convenzionali. Se il film riesce, e bene, Jim deve ringraziare anche la sua giovane partner, Zooey Deschanel (presto in sala anche con 'Gigantic'), principessa azzurra bizzarra e affascinante, buffa e sempre più brava. Andatelo a vedere, vi farà bene. E ovviamente non si accettano rifiuti come risposte." (Boris, Sollazzo, 'Liberazione', 9 gennaio 2009)"Forse è presto per dirlo, ma in alcuni insospettabili film anglo-americani sembra permeare un atteggiamento diverso verso il mondo, la vita e il prossimo che non sia quello dettato da immaginari apocalittici e catastrofisti, così adereiti al clima cupo di crisi economicle, ecologiche e umanitarie. (...) Colpisce trovare in una innocua commedia un po' meccanica con Jim Carrey tutta una serie di indicazioni che complottano per una lettura aderente: sociologica, piuttosto che sentimentale, ideologica piuttosto che romantica. Come ci insegnano i vari Krakauer e Balazs (scomodarli è troppo?), il cinema americano ha sempre usato i generi più popolari e leggeri per dire cose prima di altri, anche incosciamente. ìYes Manì non è l'unico titolo a proporre un nuovo atteggiamento esistenziale. Anche se molto più complesso, e bello, c'è l'ultimo di Mike Leigh, 'La felicità porta fortuna'. Anche se molto più melodrammatico, e brutto, c'è l'ultimo di Muccino, 'Sette anime'." (Dario Zonta, 'L'Unità', 9 gennaio 2009)
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Titolo Zohan - Tutte le donne vengono al pettine
Titolo originale You Don't Mess With The Zohan
Anno 2008
Regista Dennis Dugan
Durata 112
Paese USA
Genere commedia
Trama Zohan, spietato agente dell'intelligence israeliana, decide di trasferirsi a New York e finalmente realizzare il suo sogno: aprire un negozio di parrucchiere. Tuttavia, l'impresa non si rivelerà così semplice...Critica "La sceneggiatura è scritta da Dugan insieme a Judd Apatow ('Molto incinta', '40 anni vergine'), profeta del trash. I1 trucco è che parodiando temi seri come il confitto tra israeliani e palestinesi ci si ripara dall'accusa di fare satira gratuita: peggio ancora, si ride (male) su stereotipi. Anche se qualche gag sui rispettivi fondamentalismi (la parodia del call center degli Hezbollah) va in buca. Il messaggino di pace c'è ed esalta l'interazzialità di New York: in America c'è la tolleranza, ma compare sempre un nemico più integralista di ieri e meno di domani. Si citano Bush e Mel Gibson ma in fondo resta un senso di imbarazzo che Sandler copre con una prestazione onnivora e psicosmaticamente debordante da superdotato. Apparizioni speciali di Chris Rock e Henry Wlnkler, Dom De Luise e la Carey nei panni di se stessi." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 3 ottobre 2008)"Piacerà a chi apprezza l'autoironia e la ricchezza di gag. Il conflitto arabo-israeliano esce dalla tragedia per far da pretesto a una serie di frecciate irriverenti che non risparmiano nessun cliché delle opposte schiere." (Giorgio Carbone, 'Libero', 3 ottobre 2008)"Adan Sandler è un attore di qualità ma i suoi film sono sottostimati in Europa e in Italia. 'Zohan' è una satira irriverente senza essere sconveniente e politicamente encomiabile. (...) 'Zohan' si raccomanda per la sua sana improntitudine." (Adriano De Carlo, 'Il Giornale', 3 ottobre 2008)"Difficile sostenere che il produttore Judd Apatow ('Molto incinta') sia un tipo raffinato: al confronto con i suoi, i film di Boldi paion roba da oratorio. Però le gag di Apatow - politicamente scorrette da far arrossire 'Borat'- sono buffe, magari suo malgrado, ma ti fanno ridere. Complice Adam Sandler, qui si mettono nel frullatore gli arabi e i palestinesi, le vecchie dame in calore, gli omosessuali e il machismo, i parrucchieri e i feticisti di scarpe, i seni di Mariah Carrey e quant'altro, il tutto cucito al filo bianco da una trama di rara assurdità." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 3 ottobre 2008)"Adam Sandler, qui anche in veste di produttore e sceneggiatore, è molto simpatico in un ruolo improponibile sulla carta, ma sullo schermo molto divertente. Persino di fronte alle gag che ricordano iI Boldi più ruspante, si riscopre l'indulgenza e il sorriso. Finale surreale con grande pacificazione fra arabi-palestinesi e israeliani, nel nome dell'unico tratto che li affratella davvero: la smodata passione per le donne." (Lucrezia Lenti, "Gioia" 18 ottobre 2008)
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Titolo Agente 007, si vive solo due volte
Titolo originale You Only Live Twice
Anno 1967
Regista Lewis Gilbert
Durata 108
Paese GRAN BRETAGNA
Genere azione, spionaggio, thriller
Trama Ritenuto dai suoi capi morto in una precedente azione, James Bond si ripresenta in ufficio, pronto a riprendere la sua attività. L'occasione si presenta presto: in una piccola isola del Giappone, l'organizzazione 'Spectre', mimetizzata all'interno di un vulcano spento, ha pianificato un piano per provocare la III guerra mondiale. Con un ingegnoso sistema di abbordaggio la setta riesce infatti a catturare sia la navicella spaziale USA che quella Sovietica facendo sì che americani e russi si accusanoa vicenda delle aggressioni subite. Bond, non visto, penetra nel vulcano spento, distruggendo la base.Note - LA DURATA DELLA VERSIONE ORIGINALE E' DI 117'.- LA CANZONE "YOU ONLY LIVE TWICE" DI LESLIE BRICUSSE E' CANTATA DA NANCY SINATRA.- CONSULENTE DI ARTI MARZIALI: (TOHO) JOKUMARU OKUDA.- IL FILM E' STATO GIRATO IN GIAPPONE E NEI 'PINEWOOD STUDIOS', GB.Critica "Il film si fa apprezzare per la spettacolarità di alcune scene e per la ricchezza della scenografia." ('Segnalazioni cinematografiche', vol. 65, 1968)
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Titolo Frankenstein Junior
Titolo originale Young Frankenstein
Anno 1974
Regista Mel Brooks
Durata 106
Paese USA
Genere comico, commedia
Trama Il giovane barone di Frankenstein, erede di un'antica famiglia mitteleuropea, è un appassionato di ricerche scientifiche. Un giorno egli scopre un fluido magnetico grazie al quale, innestando un nuovo cervello in un uomo morto, lo si richiama in vita. Trafugato un cadavere gigantesco e un cervello di essere anormale, il giovanotto effettua l'esperimento e produce un "mostro". Naturalmente la nuova creatura semina, non appena si muove, terrore e morte; è, tuttavia, vulnerabile nei suoi sentimenti perché incline alla compassione e, soprattutto, all'amore. Le cento avventure porteranno il Mostro a divenire un borghese marito di Elizabeth, ex fidanzata del giovane scienziato; d'altra parte, porteranno a nozze anche il giovane Von Frankenstein con l'assistente Inga.Note -Critica "Questo film è una gustosa satira sia dei film dell'orrore - incentrati sul personaggio creato dall'ottocentesca Mary Shelley - sia nelle svenevolezze sentimentali del cinema degli anni Trenta, nonché di altre numerose debolezze dell'uomo e della società d'oggi. La suggestiva messa in scena (che si avvale persino degli impianti usati un tempo per il primo film del genere e, inoltre, di tutto il linguaggio del film muto), l'eccellente scelta degli interpreti (allegramente e adeguatamente impegnati nelle rispettive dissacrazioni), la qualità e l'intelligenza delle zampillanti trovate, collocano l'opera di Brooks nel clima di revisione hollywoodiana, affettuosa e ironica al tempo stesso." ('Segnalazioni cinematografiche', vol. 79, 1975)